In Europa si perdono, ogni ora, undici ettari di terreno e l’Italia contribuisce per circa 1/5 a questo consumo, con la perdita irreversibile di 6-7 metri quadrati al secondo, il doppio rispetto alla media Ue.
Ue. L’allarme viene dai dati Ispra diffusi in occasione della Giornata mondiale del suolo l’iniziativa delle Nazioni unite per celebrare questa indispensabile risorsa naturale, reso ancora più importante dalla concomitante celebrazione dell’Anno internazionale dei suoli.
Secondo l’analisi, il 33% dei suoli a livello mondiale è degradato e ci vogliono fino a 1.000 anni perché 2-3 centimetri di suolo possano riformarsi. Il territorio in tutto il mondo è’ dunque in pericolo, ma il suo deterioramento non è irreversibile.
I suoli sani sono essenziali per la produzione alimentare: il 95% del nostro cibo dipende dalla disponibilità di suolo fertile. Agricoltura e urbanizzazione competono per l’uso degli stessi suoli: tendenzialmente i terreni a più elevata potenzialità produttiva. Ad esempio, in un solo anno, oltre 100.000 persone hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti di qualità italiani. Alle radici del fenomeno c’è soprattutto l’urbanizzazione, insieme all’abbandono della terra.
L’urbanizzazione comporta un declino degli habitat naturali e semi naturali che, inoltre, risultano sempre più frammentati da zone costruite e infrastrutture di trasporto. Il 30% del territorio dell’Ue e altamente frammentato e questo influenza il collegamento e la salute degli ecosistemi, ma anche la capacita degli ecosistemi di fornire servizi e habitat adatti alle specie. La FAO stima che, con questo tasso di distruzione del suolo, ci rimangano solo 60 anni residui per disporre di sufficiente suolo fertile di buona qualità.
Per proteggere il territorio ed i cittadini che vi vivono, l’Italia deve dunque difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento dell’attività agricola che ha visto la chiusura in media di 60 aziende al giorno dall’inizio della crisi nel 2007, secondo un’analisi di Coldiretti. “La chiusura di un’azienda agricola – ricorda il presidente Roberto Moncalvo – significa maggiori rischi sulla qualità degli alimenti che si portano a tavola e minor presidio del territorio, lasciato all’incuria e alla cementificazione”.